27.7.10

Risposta a Fugatti e Simoni, uniti dall'ideologia della privatizzazione


Con qualche ritardo vorremmo rispondere alle parole svianti di Simoni e Fugatti, riportate nell’articolo sul TRENTINO del 17 luglio, “Acqua, sì al privato purché locale”.
Rassicurare che le risorse idriche restano pubbliche è semplice ovvietà e non una risposta alle contestazioni provenienti dai movimenti per la gestione dell’acqua come bene comune.
In Italia fin dal 1994 tutte le acque sono di proprietà pubblica, ad eccezione della pioggia cadente, come pure la quasi totalità delle infrastrutture di distribuzione.
E’ la modalità di produzione dei servizi idrici l’aspetto critico su cui discutere, perché la “proprietà formale” delle acque è priva di senso se non coincide con la “proprietà sostanziale” garantita dalla gestione totalmente pubblica esercitata con soli strumenti di diritto pubblico e con il controllo delle collettività degli utenti.
Su un tema di tale rilievo gli interlocutori del suo giornale si permettono invece errori e slogan.
Le norme dell’Unione Europea non impongono alcuna forma predeterminata di organizzazione dei servizi pubblici locali e non sono mai intervenute direttamente sulle gestioni dirette degli enti locali: ma obbligano ad osservare le regole della concorrenza (diversificazione dei soggetti gestori, gare pubbliche, ecc.) nei soli casi in cui i servizi siano messi sul mercato.
E al mercato i servizi pubblici locali - soprattutto i servizi idrici - l’Italia li ha consegnati gradualmente a partire dagli anni 1990 (fino all’accelerazione violenta del 2008-2009, ora oggetto di referendum) con decisioni politiche autonome che non possono essere coperte da presunti impegni comunitari.
Decisioni politiche non dissimili sono state prese anche nella Provincia di Trento nel 1993, consolidate nel 2004, rese più concrete (e minacciose per le gestioni in economia dei Comuni trentini) da alcune norme della riforma delle autonomie locali del 2006. Far finta che questo non sia avvenuto, ignorare la convergenza di date (2010-2011) tra la privatizzazione di origine statale (contro cui la Giunta Provinciale non ha voluto opporre resistenza, nonostante siano applicabili anche in Trentino) e quella di derivazione “interna”, significa che tutto sommato il risultato finale non dispiacerebbe.
Sostenere che i Comuni sono in difficoltà finanziarie e che i privati porterebbero capitali freschi e cultura industriale significa disconoscere i dati e rovesciare il problema. A livello nazionale in tutti i casi in cui i privati sono entrati nei servizi idrici sono seccamente diminuiti gli investimenti, sono cresciute di molto le tariffe, è diminuita l’occupazione di settore.
Per restare al Trentino, sia le tariffe medie totali (acquedotto, fognatura e depurazione) sia le tariffe di solo acquedotto delle gestioni comunali dirette e dell’Azienda speciale di Tione tanto nel 2001 che nel 2009 sono state nettamente inferiori alle tariffe (nella pratica decise dai consigli di amministrazione e non dai Comuni) delle due Spa totalmente pubbliche e delle due SpA a capitale misto pubblico-privato. Solo gli incrementi di costo 2001- 2009 delle gestioni comunali dirette (quasi 89% del totale) sono stati maggiori che per gli altri gestori, a dimostrazione che anche per questa forma di produzione dei servizi si impongono dimensioni industriali ed economie di scala.
Ma la soluzione non è un’ulteriore apertura ai privati, nazionali o locali che siano; il caso di Dolomiti Energia, prossimamente quotata in borsa, mostra come al privato piace investire: costi di infrastrutturazione e manutenzione a carico della P.A.T., rischi pochi e profitti sicuri. I capitali privati non possono essere distinti tra sani o malati, locali o forestieri, come fa Simoni, usando queste vaghe attribuzioni per stabilire cosa è bene in Trentino; nei servizi locali i capitali privati cercano solo remunerazione adeguata attraverso profitti di mercato ottenuti con le tariffe agli utenti.
E la soluzione non sono neppure le SpA di totale proprietà pubblica: esistono numerosi segnali secondo cui la Giunta provinciale penserebbe a generalizzare in tutto il Trentino questo tipo di SpA nel ciclo dell’acqua, utilizzando anche le possibilità offerte in deroga dalla normativa statale già ricordata: ma la SpA a proprietà 100% pubblica - se non è anche un carrozzone clientelare - resta (come le Spa a capitale misto) un’entità di diritto privato che deve conseguire utili a vantaggio dei suoi azionisti (sia pure pubblici), è esposta a vicende finanziarie non prevedibili, l’influenza degli enti locali al suo interno è del tutto teorica perché le decisioni si prendono lontano dai Consigli comunali e dal controllo dei cittadini.
I Comuni vanno aiutati - anche finanziariamente - a sostenere in prima persona il servizio idrico nella configurazione associata che assumerà nelle Comunità di Valle; nelle imminenti decisioni che queste dovranno prendere sull’organizzazione del servizio le uniche forme socialmente accettabili sono le gestioni dirette comunali consorziate per Comunità oppure le Aziende speciali di Comunità, le sole escluse dalla ricerca di profitto e tenute al solo equilibrio tra costi e ricavi (anche per la copertura di investimenti).
A guardare bene le uniche che permettono ai cittadini di controllare e di usare, realmente, l'acqua come un bene comune.

Stefano Bleggi e Gianfranco Poliandri, Comitato Acqua Bene Comune di Trento

La risposta che avete appena letto è stata pubblicata solo in parte dal giornale il Trentino in data 27 luglio rendendola - colpevolmente - poco chiara e snaturandone perciò l'efficacia argomentativa.

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