9.2.11

Acqua, Comitato contro la Provincia

Fonte: Trentino del 8 febbraio 2011
TRENTO. Una società interamente pubblica per la gestione dell’acqua in Trentino, nata dalla costola di Dolomiti Energia che ha attualmente in mano le 200 mila utenze dei 17 Comuni di fondovalle. E’ la direzione intrapresa da Piazza Dante per impedire la provincializzazione imposta dal decreto Ronchi. Una strada che, però, il comitato dei referendari contesta: «Il tempo delle Spa è finito».

Qualcuno forse potrebbe rimanere disorientato. Sia la Provincia, facendo valere le prerogative autonomistiche, che il Comitato per il referendum, con il suo milione e 400 mila firme incassate, propugnano la liberalizzazione dell’acqua. Stanno cioè dalla stessa parte della barricata.
Ma i referendari respingono l’ipotesi della società pubblica, introdotto dall’articolo 22 della finanziaria provinciale. Sotto accusa, in particolare, il passaggio dove si stabilisce che anche in Trentino nelle Spa a capitale misto il socio privato possieda almeno il 40% del capitale sociale. Una decisione che - secondo i referendari - «non tiene conto delle sensibilità espresse da gran parte dei cittadini».
Il perché lo spiega Francesca Caprini, referente provinciale del comitato: «Stiamo portando avanti da anni una lotta in difesa dell’acqua pubblica che è anche e soprattutto una grande battaglia culturale in difesa dei beni comuni. Una forma di resistenza e di proposta dal basso».
Una questione politico-filosofica, ma anche economica. «Dati alla mano - continua Caprini - sappiamo bene che 15 anni di privatizzazioni idriche hanno fatto aumentare le bollette e diminuire gli investimenti, in tutta Italia e anche sul territorio trentino. Lo ha detto, venerdì a Trento, Alberto Lucarelli, uno dei due estensori dei quesiti referendari: il tempo delle Spa è finito. Per quanto a totale capitale pubblico, hanno sempre come finalità il profitto. E l’acqua non può più essere considerata una merce».
Per Caprini le società in-house non sono la panacea, anzi. «L’ente locale si pone di fatto in un terribile conflitto d’interesse, poiché da una parte deve garantire un servizio pubblico e tutelare i cittadini, mentre dall’altra gode di dividendi tanto più alti quanto più su quel servizio idrico la speculazione è forte e le bollette salate. Con questo referendum si potrà far cadere l’intero castello di interessi costruiti intorno all’acqua».


«Ma l’autonomia ci dà gli strumenti»


TRENTO. Michele Nardelli (Pd) è il primo firmatario dell’ordine del giorno per la creazione di una società di gestione del servizio idrico “interamente controllata dagli enti pubblici che attualmente partecipano a Dolomiti Energia”.
- Nardelli, il Trentino ha competenza primaria sull’acqua e punta a una gestione completamente pubblica. In che modo?
Quando, nel dicembre 2009, venne votato il decreto Ronchi, presentammo una mozione in consiglio provinciale nella quale si diceva che l’acqua è un bene comune non assoggettabile alle logiche di mercato. Questo documento è stato trasformato in un ordine del giorno assunto durante il dibattito sulla finanziaria 2010.
- Qual è la situazione ora?
Abbiamo 193 Comuni che esercitano una gestione diretta in economia o con società in-house, cioè totalmente controllate da essi. Altri 17 hanno affidato la gestione a Dolomiti Energia e ci sono altri 7 gestori territoriali, che sono società o proprietà dei Comuni, di consorzi di Comuni o di aziende speciali. Dolomiti Energia è a maggioranza pubblica: Trento, Rovereto e Tecnofin hanno il 47,8%, Trento da sola il 5,8, Rovereto il 4,3, gli altri Comuni il 2,8%, il Bim il 2%.
- Qual è stata la spinta che vi ha mosso ad intervenire?
Abbiamo fatto questo ragionamento: ferma restando la via maestra del referendum per l’abolizione del decreto Ronchi, contemporaneamente possiamo avvalerci delle prerogative autonomistiche previste dagli articoli 8 e 9 dello Statuto che affidano alle due province “l’assunzione diretta di servizi pubblici e la loro gestione a mezzo di aziende speciali”. Partendo da qui abbiamo fatto due operazioni: la prima è stata di avere proposto nella legge finanziaria, all’articolo 22, la facoltà da parte dei Comuni con gestione diretta o in-house di continuarla; inoltre, siccome la scadenza della gestione avveniva il 31/12/2010, abbiamo prorogato i termini di un anno, affinché i Comuni che stanno dentro Dolomiti Energia decidessero o di rimanervi o di attivarsi attraverso una società diversa.
- Come si dà vita a questa società pubblica?
Questo è possibile perché esiste, nell’atto costitutivo di Dolomiti Energia, una clausola di scorporo che può essere attivata entro il 31 marzo 2011. Tutto il know-how del ramo acqua confluirebbe in questa nuova società. Abbiamo anche approvato un ordine del giorno in cui si impegna la giunta a sostenere la formazione di un soggetto interamente pubblico per la gestione dell’acqua.
- Ai Comuni non resta altro che scegliere quindi...
Ci sono altri due piccoli particolari. Primo, in Dolomiti Energia è entrata, all’epoca, Trentino Servizi, che era proprietaria degli impianti. Bisogna quindi rientrare in possesso dell’acquedotto. Secondo, i numeri non devono ingannare: i 17 Comuni che affidano la gestione a Dolomiti Enmergia rappresentano quasi 200 utenze, perché sono quelli più importanti. E’ evidente che ai privati fanno più gola queste utenze: quelle di fondovalle.
- Il federalismo può essere la chiave di volta per tutelare l’acqua in tutta Italia?
Credo che un vero federalismo potrebbe esserlo. Purtroppo quello che ci viene propinato no. Le garanzie di cui gode il trentino dovrebbero essere quelle di tutti.
- Un milione e 400 mila firme raccolte. Eppure l’acqua ha poca presa sui media. C’è il rischio che gli italiani in giugno vadano al mare invece che a votare?
Alla raccolta firme ho visto una partecipazione molto forte: questo è un segnale. E poi l’acqua è un tema che tocca le corde profonde del cittadino: siamo fatti di acqua, l’acqua è la vita e ha un valore simbolico eccezionale. (l.m.)

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