di Marco Bersani - Forum dell'Acqua Bene Comune
Se con l’inserimento, nel Decreto per lo Sviluppo, della normativa relativa all’istituzione dell’Authority per il servizio idrico, il Governo si proponeva di annullare o almeno depotenziare i referendum sull’acqua del prossimo 12 – 13 giugno, quantomeno si può dire che ha sbagliato i conti.
Nel metodo, perché nessun decreto legge può sostituire una richiesta di abrogazione referendaria, come più volte ha già sentenziato la Corte di Cassazione; nel merito, perché l’istituzione dell’Authority nulla a che fare con i quesiti referendari, che chiedono, rispettivamente, l’abrogazione del Decreto Ronchi (primo), ovvero dell’obbligo di messa a gara della gestione del servizio idrico e l’abrogazione, dalla determinazione della tariffa, della parte relativa alla remunerazione del capitale investito (secondo), ovvero dei profitti per il gestore garantiti in tariffa.
Poiché tuttavia l’istituzione dell’Authority –indipendentemente dalla vicenda referendaria- ha raccolto pareri favorevoli non solo nella maggioranza di governo, occorre avanzare alcune riflessioni sull’utilità e la funzionalità della stessa.
In primo luogo, occorre dire che, dal testo governativo, l’Authority istituita viene a sostituire l’attuale Commissione di Vigilanza sulle risorse idriche (Com. Vi. Ri.) con un semplice allargamento di alcune competenze e possibilità sanzionatorie, ovvero appare più come un’operazione di maquillage, senza alcuna incisività sostanziale.
Ma serve davvero un’Authority? Ed è sufficiente a garantire i diritti dei cittadini?
L’Authority è un’istituzione regolativa della libera concorrenza, ovvero presuppone l’esistenza di un mercato attivo che abbisogni di regole e di controlli.
Peccato che, per quanto riguarda il servizio idrico, si sia in presenza di un monopolio naturale –per ogni territorio passa uno e un solo acquedotto- e che dunque l’unica alternativa possibile sia fra la gestione pubblica o privatistica dello stesso.
Se per ogni territorio esiste un unico gestore per diversi decenni, questo significa che non si sarà mai in presenza di alcun mercato concorrenziale e che, di conseguenza, non serve alcuna autorità di regolazione.
Ma l’Authority serve –dicono i suoi fautori- perché il pubblico non è in grado di controllare. Interessante, in questo caso, la tautologia che si viene a creare : non si capisce infatti perché un pubblico considerato incapace dovrebbe produrre un’autorità efficiente e, viceversa, perché un pubblico considerato efficiente dovrebbe aver bisogno di un’autorità che ne faccia le veci.
Da qualunque punto la si affronti, la risposta è di conseguenza una sola.
La consegna dell’acqua al mercato trasforma il servizio idrico in servizio la cui unica finalità è la redditività, con tutte le conseguenze conosciute in termini di aumento delle tariffe, riduzione degli investimenti e peggioramento della qualità del servizio; da questo punto di vista, nessuna Authority può modificarne la natura, unicamente tesa alla produzione di profitti.
Se invece, così come chiede la grandissima coalizione sociale che ha promosso i referendum, si pensa che il servizio idrico debba essere un servizio pubblico orientato a garantire un bene comune e un diritto umano universale, l’unica strada percorribile è quella della sottrazione dello stesso alle regole del mercato e la sua consegna alla gestione partecipativa delle comunità locali. Ovvero all’unica autorità efficace, perché orientata alla conservazione della risorsa per la presente e per le future generazioni.
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